Telefono: 0341 996586
Santa Teresa di Gesù
1515 - 1582
Teresa di Gesù, come la definisce M. Herraiz, è una rinnovatrice atipica e vagabonda, animatrice del nostro futuro: «Sento talvolta dire degli inizi degli Ordini religiosi che il Signore concedeva maggiori grazie a quei santi nostri predecessori poiché erano le fondamenta. E così è, ma sempre devono considerare che sono le fondamenta di coloro che stanno per venire» (F 4, 5-6). Teresa è una donna che mette in gioco tutta se stessa per annunciare il Vangelo: «… che mi giova che i santi passati siano stati tali, se io... lascio rovinare l’edificio?» (F 4,6).
Avila 1515
Teresa de Cepeda y Ahumada nacque dal secondo matrimonio di suo padre, Don Alonso, con doña Beatriz ad Avila il 28 marzo 1515; l’origine paterna era marrana divenuta hidalgo, cioè nobile. Teresa, viene educata cristianamente dagli esempi dei genitori, insieme con nove fratelli e due sorelle, si dimostra fanciulla ardita che desiderava il martirio per vedere subito e presto Dio stesso, scappando da casa con il fratello Rodolfo per andare incontro ai mori. I piccoli li ripresero ben presto, ma non si estinse in lei il desiderio: «Ci capitava molto spesso di parlarne e gustavamo di dire molte volte: per sempre, sempre, sempre! Pronunciandolo molto spesso il Signore voleva che mi restasse nell’infanzia impresso il cammino della verità» (V 1,4). Tanto da far affermare a uno scrittore come E. Cioran che «…l’ardore in lei non smise di crescere, al punto che il fuoco della sua anima non si è mai spento, se ancor oggi ci riscalda». Questo anelito innervò tutta la sua vita e il suo carisma, in cui si entra per via di comunione spirituale e trasforma in «martiri», testimoni forti dei valori del Regno: «Non sapete, sorelle, che la vita del buon religioso che vuole essere fra gli intimi di Dio, è un lungo martirio?» (C 12,2).
Da questo inizio precoce sino alla fine della sua vita, risalta in lei una nota caratteristica: «Camminare nella verità» (V 25, 21; 26,1), «camminino nella verità i vostri cuori» (C 20, 4), che si converte in una postura sempre presente in lei stessa e nella sua missione di educatrice. Dopo una forte esperienza mistica di Dio come Verità, scriverà: «Per conformarci al nostro Dio e Sposo in qualche cosa, sarà bene che ci preoccupiamo molto di camminare sempre in questa verità» (6 CI 10,6).
Teresa impara a leggere, a scrivere, ad amare la lettura, si dimostra socievole e gaia, consapevole del suo “onore”, inclinata alla preghiera; il processo per il riconoscimento della nobiltà della famiglia, 1519-1523, coinvolge tutti i famigliari, ma Teresa non ne farà mai parola. Alla morte della madre, verso i 13 anni, dopo un innamoramento fugace, viene educata nel collegio delle agostiniane. Al ritorno in famiglia, dopo aver opposto una certa resistenza alla chiamata monastica, decide di seguire il Signore ma si scontra con il veto paterno. Fugge dalla casa paterna il 2 novembre 1535 ed entra nel Carmelo dell’Incarnazione di Avila che superava le centocinquanta monache.
Incarnazione di Avila 1535
Certa della sua scelta, Teresa visse una vita santa ma contraddittoria e si ammalò. Curata maldestramente rimase in coma per diversi giorni e poi paralizzata «per circa tre anni» (V 6,2), dai 24 ai 27 anni. Spiritualmente lottò con un’«ombra di morte» (V 8, 12), assistette il padre morente e si ritrovò (V 7,17); la conversione radicale però avvenne verso il 1554 davanti ad un Cristo piagato ed allora esplose la sua vita mistica. Le letture di Teresa furono molto qualificate (Le Lettere di Girolamo, Moralia di Gregorio Magno, Le Confessioni di Agostino) e fra gli autori a lei coevi Osuna, de Laredo, B. de Palma, Luís de Granada. I suoi molti amici, Teresa possedeva infatti «el don de gente», sia laici sia chierici, erano tutte persone spirituali e colte che l’aiutavano, ma anche la confondevano con molta sofferenza, nel chiarire a se stessa quanto le sta avvenendo. Monaca carmelitana Teresa ama gli amici ma parla a Dio.
In questo contesto, sociale e religioso, di ottima levatura, matura in Teresa il passo che la porta a riformare il Carmelo con la fondazione di un piccolo monastero, il «collegio di Cristo» (C 27,6).
San Giuseppe d'Avila
Tutte le contraddizioni possibili piovvero addosso a Teresa quando venne aperto il piccolo e povero San Giuseppe, venne però difesa dai suoi ottimi amici e, dopo un forzato ritorno all’Incarnazione, poté ritornare al piccolo «colombaio della Vergine» ed intraprendere quella vita quotidiana che avvertiva più vicina a quella degli antichi padri eremiti del Monte Carmelo, «quei santi padri fondatori» (F 14,4), invitando a fissare gli occhi su di loro (F 29,33). «Allora poiché cominciavano a popolarsi questi piccoli colombai della Vergine Nostra Signora, iniziò la Divina Maestà a mostrare le sue grandezze in queste donne deboli, anche se forti nei desideri e nel distaccarsi da tutto il creato...; poiché tutti i discorsi e i rapporti non si discostano da Lui, Sua Maestà non pare voler staccarsi da loro. Temano quelle che stanno per venire e leggeranno queste righe, e se non vedono quanto c’è ora, non l’attribuiscano ai tempi, perché c’è sempre tempo che Dio faccia grandi grazie a coloro che veramente lo servono...» (F 4,5).
Con il permesso del Preposito Generale dell’Ordine, p. Rubeo, Teresa, a dorso di mulo, senza il becco di un quattrino e con molta fatica, fonderà ben 17 Carmeli: Medina 1567, Malagón 1568, Valladolid 1568, Duruelo, Toledo 1569, Pastrana 1569, Salamanca 1570, Alba de Tormes 1571, Segovia 1574, Beas 1575, Siviglia 1575, Caravaca 1576, Villanueva de la Jara 1580, Palencia 1581, Soria 1581, Burgos 1582.
Il rimprovero del Nunzio Filippo Sega, «femmina inquieta e vagabonda», si rivela l’elogio migliore perché, se «andava fuori dal monastero sotto pretesto di riforme contro le prescrizioni del Concilio di Trento», Teresa si muoveva in Dio e diventava la Riformatrice del Carmelo, «camminando la verità». Donna in cammino, «vagabonda» più che di spazi fisici dello spirito, Teresa risvegliata precocemente e con forza «alla verità», da quel giorno, la Verità si tramutò nell’unità più consistente e granitica della sua personalità umana e credente.
Quando ormai la sua opera riformatrice era molto avanzata, in piena crisi di relazione con i suoi superiori, il P. Generale e lo stesso Nunzio di Sua Santità, pur rimanendo sempre in dialogo «i ministri che egli (Dio) ha posto nella sua Chiesa» (V 29,6), Teresa si fece eco dell’opinione di molti sulla sua opera: «Dicono che è un Ordine nuovo e sia un’invenzione», ma ribatté: «leggano la nostra Regola primitiva... e credano solo a quanto vedono, e osservino come viviamo» (L 4.10.78; 254,9).
Morirà ad Alba de Tormes, sfiancata da un lunghissimo viaggio e dal tumore all’utero che la divorava, il 4 ottobre 1582, che diventerà il 15 ottobre per il passaggio al calendario gregoriano: Teresa diventa via di fuoco per tutti, Madre ardente di carmelitane e carmelitani in fiamme d’amore per la salvezza delle anime.
La vita nello Spirito
Teresa sale la vetta del Monte Carmelo con il cuore in fiamme, «Come non sentirsi vicini a santa Teresa che, essendole apparso Gesù, uscì di corsa e si mise a ballare in mezzo al convento, in un trasporto frenetico, battendo il tamburo per chiamare le sorelle a condividere la sua gioia?» (E. Cioran).
Teresa fu un’anima missionaria nel deserto della solitudine carmelitana e avvertì il richiamo delle Indie, viveva ormai nel suo piccolo Carmelo di San Giuseppe d’Avila con un’intenzione precisa: «… determinata a fare quel pochino che posso ed è in me: seguire i consigli evangelici con tutta la perfezione possibile e far sì che queste poche che qui si trovano facciano lo stesso, confidando nella grande bontà di Dio che mai manca di aiutare chi per Lui si determina a lasciare tutto» (C 1,2).
In questo quadro di vita e di dedizione evangelica si inserisce un evento che avrà una portata incalcolabile per lo spirito missionario di Teresa e di tutte le sue figlie e figli: il francescano fra Alonso Maldonado de Biendía, «gran servo di Dio e con gli stessi desideri per il bene delle anime come me», da poco rientrato dalle Indie, le descrive la situazione di quel paese. Per Teresa è una scossa interiore: «Iniziò a raccontarmi dei molti milioni di anime che si perdeva per mancanza di insegnamento, ci fece un sermone animandoci alla penitenza e se andò. Rimasi tanto afflitta per la perdita di tante anime, da non stare in me» (F 2,7).
Che cosa farà Teresa? È erede del profeta di fuoco, Elia, in un mondo in fiamme: «Me ne andai, tutta in lacrime, ad un eremitaggio: gridavo a Nostro Signore, supplicando che mi desse il modo di poter fare qualche cosa per guadagnare qualche anima per il suo servizio, poiché il demonio ne strappava molte, e che la mia orazione potesse qualche cosa, perché io non valevo molto. Avevo grande invidia per coloro che potevano, per amore di Nostro Signore, impegnarsi in questo, anche se avessero dovuto soffrire mille morti. Mi accade come quando nelle vite di santi leggiamo che convertirono molte anime, mi fa molta più devozione, tenerezza e invidia, di tutti i martiri che patiscono… mi sembra che Egli apprezzi più un’anima che con la nostra industria e preghiera gli guadagniamo per la sua misericordia, che tutti i servizi che gli possiamo fare» (F 1,7). Il Signore le disse: «Aspetta un poco, figlia mia, e vedrai grandi cose» (F 1,8).
Non le mancarono infatti le avventure e le disavventure più disparate e difficili nel corso delle sue fondazioni, le riuscì però di inculcare quello che oggi definiamo lo stile teresiano di fraternità e di ricreazione, di «coloro che per Lui solo s’amano… Non troverete migliori parenti che quelli che sua Maestà v’invierà» (C 9,4). Stile di grande spessore teologale perché «Dio vi riunì qui» (C 8,1), inserito nel tessuto profondo dell’orazione, contagiato dalla sua ricca umanità.
Obras, opere, Teresa insegnava alle sue sorelle: «Tutte dobbiamo procurare d’essere predicatori d’opere, infatti l’apostolo e la nostra incapacità ci lascia che noi siamo senza parole» (C 15,6). Era consapevole che tutto dipendeva dall’opera di Dio: «Dove pensate che acquisisse potere questa donnetta, quale sono, io per opere tanto grandi, soggetta, senza un solo maravedi, senza qualcuno che mi favorisse?» (F 27, 11). «Soggetta», «legata» perché donna, quindi «afflitta» grida a Dio: «Signore mio, come m’ordinate cose che sembrano impossibili? Anche se donna, se avessi libertà! ma legata da tante parti... che posso fare io, Signore?» (V 33, 11).
Teresa vuole la libertà per sé e per le sue sorelle per «rendere pubblico», nella comunità di persone libere che è la Chiesa, «chi è questo gran Dio» (6 CI 6,3).
Le donne carmelitane dovevano essere protagoniste del loro rinnovamento con due clausole ben chiare che pose a chi dava loro aiuto: doveva conoscere il suo stile e il suo spirito: «É necessario che le comprenda» (L 23.2.81; 354,1); non si devono moltiplicare le prescrizioni giuridiche, neppure sotto pretesto di riformare o potenziare la vita spirituale: «Opprimere all’esterno e non avere chi all’interno le aiuti, è un gran travaglio; così lo vissi io finché non ci furono scalzi all’Incarnazione» (L 9.1.77; 172,2).
Teresa possiede una sua pedagogia ben chiara: «La priora badi bene a non perfezionarla a forza... prosegua a poco a poco fino a che il Signore operi in lei; perché quanto si fa per farla progredire... non sia causa di inquietudine e di afflizione nello spirito, che è cosa terribile» (F 18,10), ed a Ambrogio Mariano: «Capisca, Padre mio, che io sono amica di avanzare molto nelle virtù ma non nel rigore, come lo vedrà in queste nostre case. Deve essere perché io sono poco penitente» (L 12.12.76; 156,10).
Lentamente prende corpo in lei anche l’affiancarsi della Riforma maschile: «Considerando quanto era necessario, se s’erigevano monasteri di donne, che ci fossero frati della stessa regola...» (F 2,5).
Teresa testimonia ed offre una vita di amicizia con Dio che rende «gente scelta», «buoni amici», con la dimensione della radicalità, della totalità e della gratuità che comporta la consegna al Tutto senza riservarsi nulla (C 8,1), perché «Cristo avrebbe camminato fra di noi, e (la comunità) sarebbe stata una stella che avrebbe emanato grande splendore» (V 32, 11).
Le carmelitane scalze dovevano tenere, affermava Teresa, «gli occhi fissi sul vostro Sposo» (C 2,1).
Gli scritti
Teresa sale la vetta del Monte Carmelo con il cuore in fiamme, «Come non sentirsi vicini a santa Teresa che, essendole apparso Gesù, uscì di corsa e si mise a ballare in mezzo al convento, in un trasporto frenetico, battendo il tamburo per chiamare le sorelle a condividere la sua gioia?» (E. Cioran).
Teresa fu un’anima missionaria nel deserto della solitudine carmelitana e avvertì il richiamo delle Indie, viveva ormai nel suo piccolo Carmelo di San Giuseppe d’Avila con un’intenzione precisa: «… determinata a fare quel pochino che posso ed è in me: seguire i consigli evangelici con tutta la perfezione possibile e far sì che queste poche che qui si trovano facciano lo stesso, confidando nella grande bontà di Dio che mai manca di aiutare chi per Lui si determina a lasciare tutto» (C 1,2).
In questo quadro di vita e di dedizione evangelica si inserisce un evento che avrà una portata incalcolabile per lo spirito missionario di Teresa e di tutte le sue figlie e figli: il francescano fra Alonso Maldonado de Biendía, «gran servo di Dio e con gli stessi desideri per il bene delle anime come me», da poco rientrato dalle Indie, le descrive la situazione di quel paese. Per Teresa è una scossa interiore: «Iniziò a raccontarmi dei molti milioni di anime che si perdeva per mancanza di insegnamento, ci fece un sermone animandoci alla penitenza e se andò. Rimasi tanto afflitta per la perdita di tante anime, da non stare in me» (F 2,7).
Che cosa farà Teresa? È erede del profeta di fuoco, Elia, in un mondo in fiamme: «Me ne andai, tutta in lacrime, ad un eremitaggio: gridavo a Nostro Signore, supplicando che mi desse il modo di poter fare qualche cosa per guadagnare qualche anima per il suo servizio, poiché il demonio ne strappava molte, e che la mia orazione potesse qualche cosa, perché io non valevo molto. Avevo grande invidia per coloro che potevano, per amore di Nostro Signore, impegnarsi in questo, anche se avessero dovuto soffrire mille morti. Mi accade come quando nelle vite di santi leggiamo che convertirono molte anime, mi fa molta più devozione, tenerezza e invidia, di tutti i martiri che patiscono… mi sembra che Egli apprezzi più un’anima che con la nostra industria e preghiera gli guadagniamo per la sua misericordia, che tutti i servizi che gli possiamo fare» (F 1,7). Il Signore le disse: «Aspetta un poco, figlia mia, e vedrai grandi cose» (F 1,8).
Non le mancarono infatti le avventure e le disavventure più disparate e difficili nel corso delle sue fondazioni, le riuscì però di inculcare quello che oggi definiamo lo stile teresiano di fraternità e di ricreazione, di «coloro che per Lui solo s’amano… Non troverete migliori parenti che quelli che sua Maestà v’invierà» (C 9,4). Stile di grande spessore teologale perché «Dio vi riunì qui» (C 8,1), inserito nel tessuto profondo dell’orazione, contagiato dalla sua ricca umanità.
Obras, opere, Teresa insegnava alle sue sorelle: «Tutte dobbiamo procurare d’essere predicatori d’opere, infatti l’apostolo e la nostra incapacità ci lascia che noi siamo senza parole» (C 15,6). Era consapevole che tutto dipendeva dall’opera di Dio: «Dove pensate che acquisisse potere questa donnetta, quale sono, io per opere tanto grandi, soggetta, senza un solo maravedi, senza qualcuno che mi favorisse?» (F 27, 11). «Soggetta», «legata» perché donna, quindi «afflitta» grida a Dio: «Signore mio, come m’ordinate cose che sembrano impossibili? Anche se donna, se avessi libertà! ma legata da tante parti... che posso fare io, Signore?» (V 33, 11).
Teresa vuole la libertà per sé e per le sue sorelle per «rendere pubblico», nella comunità di persone libere che è la Chiesa, «chi è questo gran Dio» (6 CI 6,3).
Le donne carmelitane dovevano essere protagoniste del loro rinnovamento con due clausole ben chiare che pose a chi dava loro aiuto: doveva conoscere il suo stile e il suo spirito: «É necessario che le comprenda» (L 23.2.81; 354,1); non si devono moltiplicare le prescrizioni giuridiche, neppure sotto pretesto di riformare o potenziare la vita spirituale: «Opprimere all’esterno e non avere chi all’interno le aiuti, è un gran travaglio; così lo vissi io finché non ci furono scalzi all’Incarnazione» (L 9.1.77; 172,2).
Teresa possiede una sua pedagogia ben chiara: «La priora badi bene a non perfezionarla a forza... prosegua a poco a poco fino a che il Signore operi in lei; perché quanto si fa per farla progredire... non sia causa di inquietudine e di afflizione nello spirito, che è cosa terribile» (F 18,10), ed a Ambrogio Mariano: «Capisca, Padre mio, che io sono amica di avanzare molto nelle virtù ma non nel rigore, come lo vedrà in queste nostre case. Deve essere perché io sono poco penitente» (L 12.12.76; 156,10).
Lentamente prende corpo in lei anche l’affiancarsi della Riforma maschile: «Considerando quanto era necessario, se s’erigevano monasteri di donne, che ci fossero frati della stessa regola...» (F 2,5).
Teresa testimonia ed offre una vita di amicizia con Dio che rende «gente scelta», «buoni amici», con la dimensione della radicalità, della totalità e della gratuità che comporta la consegna al Tutto senza riservarsi nulla (C 8,1), perché «Cristo avrebbe camminato fra di noi, e (la comunità) sarebbe stata una stella che avrebbe emanato grande splendore» (V 32, 11).
Le carmelitane scalze dovevano tenere, affermava Teresa, «gli occhi fissi sul vostro Sposo» (C 2,1).
Vita: in due redazioni, Toledo 1562, San Giuseppe d’Avila 1565;
Cammino: in due redazioni 1566 e 1567;
Costituzioni dette delle Carmelitane scalze: nel 1568 apparterranno agli scalzi di Duruelo;
Lettere: 40 di questo periodo iniziale;
Concetti dell’amore di Dio: commento ad alcuni versi del Cantico dei Cantici;
Modo di visitare i conventi: 1576;
Il Castello Interiore: 1577, presenta lo spazio interiore della persona e il suo incontro con Dio, «uno degli scrittori che è riuscito a dare espressione al linguaggio interiore sia degli uomini che delle donne nel Castello interiore era una femmina, Teresa d’Avila» (R. Rossi).
Fondazioni: scritte in diversi momenti cronologici Salamanca 1573-Burgos 1582;
Epistolario: rimangono 400 lettere datate a vari periodi;
Relazioni: composte in diverse date;
Poesie: con date diverse;
Esclamazioni: la cui redazione cronologica rimane incerta.